Il convegno “La libertà su internet. Modelli e regole” che si è tenuto ieri nei locali del Consiglio Nazionale Forense, organizzato dalla Fondazione “Centro di iniziativa giuridica Piero Calmandrei” è stato un grande evento.
Raramente capita di assistere ad una relazione più interessante dell’altra e..scoprire improvvisamente che è passata oltre un’ora e mezza.
Il merito principale degli organizzatori è stato quello di aver raccolto intorno allo stesso tavolo conoscenze e competenze molto diverse, dimostrando che la chiave di lettura di temi complessi come quello delle regole del web, è senz’altro la multidisciplinarietà.
Dopo l’introduzione del prof. Zeno-Zencovich (che ha spaziato dalla visione olistica della libertà individuali, pubbliche ed economiche di – e da… – internet passando per il diritto all’accesso) infatti, i discorsi hanno abbandonato l’ambito giuridico: le discipline spaziavano da quelle proprie dell’informatica, con la relazione dell’ing. Décina a quelle delle scienze della comunicazione, oggetto dell’intervento del prof. Morcellini passando per l’economia del prof. Carnevale Maffé e le scienze e tecnologie della cognizione del prof. Antinucci.
Quest’ultimo intervento è stato davvero affascinante poiché, con approccio per così dire…”socratico”, ha dimostrato che non è ancora possibile capire fino in fondo non tanto cos’è internet, ma quali effetti produce sui nostri comportamenti personali, sociali o economici.
Ho sempre sospettato che il media che utilizziamo, influisca sia sul nostro modo di comunicare (e fin qui niente di nuovo…), sia sul nostro modo di pensare o vedere la realtà. Finalmente ho ottenuto un’autorevole conferma. Come si dice, i problemi complicati hanno spesso soluzioni semplici: la storia anche in questo caso non sbaglia.
Storia per parlare di futuro?
Proprio così, non si tratta di un ossimoro o di un refuso..Basta pensare – questa la riflessione di disarmante pragmatica – alla stampa a caratteri mobile ed al libro. Sono due entità piuttosto diverse: perché il primo libro vedesse la luce, sono dovuti trascorrere quasi 60 anni da quando i neonati caratteri mobili lasciarono il loro primo segno sulla carta.
Mmm si può intuire la morale..: da quanto tempo c’è internet..?
Non certo da 60 anni e nemmeno da 30, circa una ventina. Comunque pochi in termini di impatto sulle nostre abilità cognitive e, conseguentemente sui nostri comportamenti. Questo è stato detto, in particolare, per replicare al rilievo in termini di modelli economici da applicare al web: come è possibile parlare di modelli da seguire o suggerire, se ancora non si è capito come l’uomo sta “metabolizzando” a livello neuronale e mentale l’impatto delle tecnologie dell’ICT?
Insomma pare un po’ “schizofrenico” l’atteggiamento di chi vuol applicare modelli comunque vecchi, giacché relativi ad un mondo che già esiste, ad un mondo che ancora non si è formato…
A ciò si riconnette l’aspetto – ancora un apparente paradosso – abbastanza innovativo: il fatto che stiamo ritornando ad un modo di comunicare, quello analogico basato sui gesti e sull’osservazione delle azioni compiute da nostri simili – che pareva in fase recessiva. E’ confermato dai dati dei tecnici presenti, che una gran parte delle informazioni reperibili su interne sono foto e video (il contenuto di filmati nei prossimi anni è stato stimato nell’80% del traffico totale): dunque in luogo dei testi che implicano una comunicazione artificiale basata sui simboli, si andrà (o si ritornerà) al primo – quasi ancestrale – modo di comunicare: quello del bambino che osserva. E che impara proprio attraverso l’osservazione, senza parole, spiegazioni o commenti.
Evidenti a questo punto anche le implicazioni sull’insegnamento: non sono mancati spunti e…. frecciatine alla volta del competente Ministro che davvero dovrebbe preoccuparsi di come si possa insegnare in maniera efficace ed efficiente ai nativi digitali…
Interessante chiosa sull’editoria digitale: dare per spacciato il libro solo perché è stampato sulla carta, potrebbe essere affrettato. Non tanto perché resisterà un mercato di nicchia di amatori (fenomeno plausibile e simile a quello dei vecchi 33 giri…), quanto perché non bisogna confondere la struttura con la funzione. Cambierà la forma, passando, da cartacea a digitale, ma serviranno – ancor di più – quelle garanzie di rilevanza ed affidabilità circa i contenuti che solo l’Autore di un Libro può dare. Sapersi orientare in una “vastità non strutturata” di informazioni (basta pensare alla mole di dati presenti in 20 o 30 pagine web che sforna una semplice ricerca su Google) è infatti un lavoro ad “alta intensità cognitiva” che è in grado di compiere solo chi ha già una buona conoscenza della materia sulla quale sta scrivendo. In questo senso il deficit di competenze (tra chi le e chi non le ha) è destinato a crescere, con conseguente bisogno di uno strumento – il libro elettronico, appunto – in grado di fungere da “garante” della qualità dei contenuti.
Dopo la pausa è seguita una interessante tavola rotonda moderata da Raffaele Barberio, in cui il prof. Rodotà ha fatto notare come la cittadinanza tradizionalmente basata su sangue e terra, sia destinata ad essere sostituita da qualcosa di meno geneticamente e geograficamente determinato e più.. “digitale”, mentre l’On. Gentiloni ha simpaticamente notato come uno dei compiti della politica su questi temi sia quello di “non fare danni“..passando un po’ la palla alle cd. Authorithy pure presenti al tavolo (Cons. Nicola D’Angelo).
Un bel pomeriggio, davvero. Credo che non mi perderò il prossimo convegno sulla “radio digitale”.. questo strano incastro di broadcast e broadcaster, di fruitori di contenuti che ne sono alle tempo stesso anche fornitori, sembra sempre più somigliante ad un’araba fenice..e sono proprio curioso di scoprire cosa può ancora offrire un media che stavolta conosciamo da.. quasi un secolo!
Vecchio? Ma se è appena nato 😉
P.S. Le relazioni dovrebbero essere rese disponibili sul sito della Fondazione.